Quando non possiamo fare a meno dell’altro. La dipendenza affettiva nel legame di coppia.

di Elisa Ceccarelli.

Oggi più che mai sentiamo parlare di  dipendenza affettiva e di storie d’amore malato o patologico, tant’è che si comincia a parlare di dipendenza affettiva come una vera e propria pandemia. La dinamica della dipendenza nei rapporti affettivi e intimi, a mio avviso, è anche  una caratteristica del nostro tempo. Oggi siamo tutti più soli, più slegati dalle nostre famiglie d’origine e da quelle fitte reti sociali che un tempo costituivano un forte appoggio e sostegno affettivo e quindi più in cerca di contatti significativi e della cosiddetta  “relazione perfetta” che può rischiare di diventare la fonte e l’origine di una sindrome di dipendenza affettiva.

Credo che a ciascuno di noi sia capitato almeno una volta nella vita di vivere un’esperienza relazionale in cui ha sentito di essere troppo dipendente da un altro significativo e di fare fatica ad essere centrato su di sé. Se  a livello intuitivo possiamo tutti immaginare di che cosa si tratti in realtà  è molto difficile dare una definizione di dipendenza affettiva, in quanto porta con se tante sfaccettature diverse. Ci sono tanti modi di essere dipendenti affettivi.

Sicuramente è nell’ottica della relazione che possiamo comprenderla meglio. Non c’ è dipendenza senza un sistema di almeno due elementi: due persone, una persona e un oggetto, una persona e un pensiero, una persona e una parte del corpo, ecc..     
Una coppia è sempre qualcosa di più della semplice somma di due persone, è un vero e proprio sistema che ha un equilibrio dinamico più o meno stabile e come dice F. Poudat (2005) :“Non c’è persecutore senza perseguitato, protettore senza protetto, attivo senza passivo, altruista senza egoista , forte senza debole, serio senza fantasioso….”. La dipendenza affettiva è una distorsione relazionale che implica una distorsione dell’idea di sé e dell’altro e un disequilibrio della risposta affettiva nell’area dell’intimità.                                                    
Si prova ansia più o meno marcata ad ogni distacco dal partner, sentimenti di vuoto e smarrimento quando si è soli, si percepisce che la propria serenità e il proprio valore personale hanno origine solo dal giudizio e dallo stato d’animo dell’altro. Spesso può accadere che  quando vediamo l’altro  di malumore  ci si chieda :“cosa ho fatto che non va?”.  Si diventa fobici e ossessivi, controllanti e vendicativi  se l’altro non si comporta come si vorrebbe.

Ma sulla base di questi sintomi è lecito parlare di dipendenza patologica? Cioè, quand’ è che l’amore diventa una patologia? Quando siamo in una relazione intima con qualcuno è inevitabile entrare in empatia con l’altro, sentire quello che sente l’altro ed è normale essere contagiati dal suo stato d’animo e sentirci feriti se l’altro esprime un giudizio negativo su di noi.  Quando siamo in una relazione di coppia entriamo in uno stato di cosiddetta risonanza interpersonale che ci permette di  formare una mente a due, una mente bi-personale che ci serve per sentirci protetti e rassicurati. Siamo tutti dei veri e propri animali da branco e non possiamo fare a meno gli uni degli altri. Quindi anche nelle relazioni adulte, specie in quelle più strette, è sempre implicita una qualche forma di dipendenza.

La dipendenza di per sé non è un disturbo, ma è una parte integrante della nostra vita e della nostra sopravvivenza. Noi nasciamo dipendenti dal nutrimento, dal calore e dalla protezione dei nostri genitori e per poter sviluppare una sana indipendenza ed autonomia si deve aver potuto sperimentare da piccoli  una sana dipendenza, cioè quella sensazione di “base sicura” nel rapporto con i nostri genitori all’interno della quale ci siamo sentiti riconosciuti nei nostri bisogni primari di protezione, accudimento e sicurezza. La base della nostra identità e del nostro senso di Se.

E da adulti la vera intimità può esserci solo fra due persone la cui percezione della propria individualità separata e della propria integrità sia sufficientemente sicura, per dar modo a ciascuna di impegnarsi completamente nell’altra e lasciarsi andare all’altro senza temere di perdere il proprio Sé o di essere rifiutati se si mostra la propria vulnerabilità. Intimità implica allo stesso tempo consegna e autonomia e l’una non può esistere senza l’altra.  I rapporti d’intimità da adulti si rifanno agli schemi di attaccamento ereditati dal rapporto con le proprie figure genitoriali, in una certa misura li riproducono per cui da adulti tendiamo a farci accudire con la stessa fiducia (o paura) del bambino che siamo stati e accudiamo l’altro con la stessa amorevolezza (o ambivalenza) che i nostri genitori hanno avuto per noi. In una relazione matura i partner si scambiano reciprocamente i ruoli, chi si prende cura e chi, affidandosi all’altro, riceve accudimento.                                                                
È nell’irrigidirsi delle parti che si comincia a delineare un problema. Se la capacità di affidarsi e di chiedere aiuto non è bilanciata anche dalla capacità di sostenere la solitudine e di essere autonomi nelle scelte, si entra in una condizione di dipendenza. “Se l’altro non c’è o non mi conferma io non esisto”. Si parla di patologia quando  “sentire l’altro” comincia a minare la nostra autostima e la nostra fiducia nel senso che la percezione di un malumore nel partner, per esempio, viene subito collegata ad  un malumore nella relazione e ad una minaccia di abbandono, facendo scattare  in maniera quasi automatica la disamina interiore delle proprie colpe, di tutte le cose che si sarebbero potute  fare ma che non si è fatto  e di tutte le cose che sbagliate che ci sono in noi.

E’ quando l’ altro viene ricercato unicamente come regolatore esterno delle proprie emozioni negative, quando la separazione è vissuta come insostenibile ed ogni cambiamento nella relazione è percepito come una minaccia che la dipendenza affettiva prende forma ed intrappola in  un circolo vizioso per cui si cercano “dosi” sempre maggiori di presenza dell’altro e l’ astinenza è prostrante. (Giddens, 1995).

Come si interrompe?
Si comincia dalla consapevolezza, dal riconoscimento della dinamica relazionale e si prosegue affrontando quel sentimento di vuoto antico che in un modo distruttivo si è cercato di riempire.   Con il coraggio di stare presenti a ciò che si ha dentro e concedersi di sentirlo. Ciò significa cominciare ad entrare in contatto con il dolore, la propria solitudine, la paura, la mancanza di speranza e il bisogno di riconoscimento. Permettere a tutti questi sentimenti e sensazioni di esserci ma sapendo che non ci definiscono completamente, facendo appello alle nostre risorse interiori, materiali e relazionali per ricreare quella “base sicura” dentro e fuori di noi indispensabile per poterci ri-orientare nel mondo e scegliere cosa e chi è più giusto per noi.

BIBLIOGRAFIA:
Giddens A.(1995): La trasformazione dell’intimità. Bologna: Il Mulino.
Poudat  F.X.(2005). La dipendenza affettiva. Roma: Castelvecchi.

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